La poetica del gioco, nel teatro delle fantasticazioni di Roberto Morselli

Conosco Roberto da trent’anni. Tanti me ne sono voluti per entrare nel pluriverso della sua poetica. Conoscerlo è intraprendere un viaggio suggestivo, simile a quello che si può compiere nel Paese delle Meraviglie. E come nel capolavoro di Lewis Carroll, l’effetto è straniante e liberatorio.

Le sue creazioni – giocattoli, dispositivi, congegni, opere – sono realizzate con materiali “poveri”, considerati di scarto, che Roberto recupera e inserisce in nuove configurazioni “poetiche”. Questi scarti e rimasugli non solo hanno una seconda vita, ma entrano a far parte di una nuova narrazione materica. La pietra scartata diventa così la pietra miliare di un percorso di ricerca e di sperimentazione.

Roberto è Mastro Nocciola, un artigiano-artista. Come tutti i veri artigiani non solo è creativo: è anche attento. Se l’attenzione, come sosteneva Nicolas Malebranche, è la preghiera naturale dell’anima, Roberto ci ricorda che l’anima può emergere solo da un corpo che manipola, che fantastica, che sperimenta, che danza, insomma, che gioca. Non c’è quindi anima senza il gioco. E non c’è gioco senza i bambini. Le creazioni di Roberto sono un sincero atto di amore verso i bambini e la loro inesauribile apertura al mondo.

Alcune creazioni di Roberto sono, come lui stesso le definisce, dei “pungoli”, direi particolarmente impertinenti. Sono capaci di prendersi gioco della razionalità strumentale, quella, per intenderci, tutta orientata a un efficiente utilizzo delle risorse in funzione del risultato. Credo che si possano intendere come congegni del nonsense, come un balbettio nel fluire dei discorsi raziocinanti, come un inciampo per il piede che procede veloce e sicuro, come macchie che offuscano le pretese di una visione panottica. A me piace immaginarli come alberi con le radici nel cielo: in un certo senso, ci costringono a stare a testa in giù, sparigliano le carte, disorientano. Dal cielo, fan dondolare la terra.

Altre sue creazioni a me sembrano fascinazioni in forma di congegno. Emergono quasi da sole da un fondo sempre mobile e inquieto di visioni e di apparenze. Sono resti, avanzi, rimanenze di cose viste o sentite che prendono la forma di un marchingegno dettato dal momento, perché è il momento che guida la mano. Come diceva il suo amico Gianni Celati: “Tu vai soltanto dietro all’inatteso”. Sono creazioni senza scopo e senza meta, che non rivendicano alcun valore d’uso o di scambio. Sono cose del tutto inutili: di esse si può solo godere o le si può amare, per quel tanto di possibile e di ulteriore che lasciano intravedere.

Altre creazioni di Roberto sono il frutto maturo di una ricerca continua, storica e antropologica, nel variegato mondo del gioco. I suoi giocattoli riescono a farci udire voci e a immaginare gesti che vengono da lontano, nello spazio e nel tempo. Sono attualizzazioni di e variazioni su temi ancestrali, forse archetipici. Novalis ha scritto che “ogni oggetto amato è il centro di un paradiso”. Ebbene, sono convinto che in ogni giocattolo realizzato da Roberto risuona la eco di un paradiso lontano, mai del tutto perduto. Siamo ancora immersi, sembra dirci Roberto, in un fiume vitale di pratiche di gioco, che ci può far diventare più umani. Perché umani non si è già, ma si diventa… giocando.

Che dire poi del Roberto educatore? Mi pare che qui risieda uno dei doni più preziosi del suo modo di essere artigiano. Infatti, le sue creazioni “didattiche” non servono a spiegare le cose, che siano le leggi della natura o le dinamiche della relazione umana. Servono per stare con le cose, per apprende attivamente dal mondo che ci circonda. A me sembra che Roberto intenda l’educazione come una pratica di attenzione e di trasformazione della persona, non di trasmissione. Per dirla con Tim Ingold, la sua è un’arte della corrispondenza. Le sue creazioni non costringono la materia (per esempio, l’argilla) a entrare in una forma mentale precostituita (il vaso), ma nascono da una mano che dialoga con la materia, la fa risuonare dentro di sé, si lascia guidare dalle forze interne alla materia stessa, cerca di corrispondervi: così la mano stessa diventa argilla, realizzando il vaso; o vento, manovrando l’aquilone; o sambuco, costruendo la cerbottana. La costruzione di giocattoli, per Roberto, è l’arte della corrispondenza con le forze della natura. Quale migliore educazione al fare!

Mi sono chiesto molte volte da dove nasca e come si alimenti la sua poetica. Le sorgenti sono molte, alcune più visibili, altre più carsiche. Io credo che una fonte originaria sia quel “teatro a cielo aperto di malinconie e fantasmi” (Marco Belpoliti) che è la propaggine estrema, a est, della Pianura Padana. Una terra, la Romagna, sospesa tra la campagna e il mare, che è ancora madre generosa di fantasticazioni e di ariostesche avventure. Sono queste che, segretamente, alimentano l’originale poetica di Roberto.

Roberto Morselli è formatore di Cem Mondialità, amico fraterno di Roberto Papetti.

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